da Come uno Scialle di Alberto Sighele

La vacca è soffocata nella stalla,
macigni le macerie,
il badile troppo pesante,
inutile ed insicuro il fienile
già sporco di sangue.
Non ti sorregge la forza animale
e il respiro, come istinto vegetale,
è atrofizzato,
strozzato da mani umane,
invisibili.
Ti senti trascinare sotto terra.
Nessuno sa,
nessuno più t'aspetta.
Hai tentato allora di salire al cielo appendendoti
all'albero della disperazione.
Io aspetto alla stazione,
pilastro tra i treni in arrivo in partenza.
Il tuo non arriverà,
donna jugoslava ti volevo come sposa.
Col pugno trafitto dalle spine,
il fiore violato in putrefazione,
mi resta il ricordo lacerante della rosa
e l'attesa alla stazione.

aprile 96
ti aspetto



Ti aspetto alla stazione,
al risveglio,
ti aspetto alla sera prima di dormire,
ti aspetto all'interno della porta
con gli occhi oltre i vetri:
non si aprirà mai.
Ti ho vista sul giornale
appesa all'albero della disperazione,
donna violata, donna della Jugoslavia,
donna lacerata come una cavia,
donna senza più seni né doni.
La porta è sventrata,
la casa è bruciata,
gli amplessi vetri infranti,
l'insonnia un'invasione di incubi.
Le occhiaie divorano il cranio.
La stanchezza svuota la giornata.
Volevi abbracciare un uomo:
hai messo la mano in un nido di serpi.
Volevi salvare la figlia
e ti hanno schiacciato l'uovo
in mano, irridendoti.
Già andato a male, hanno detto.
La vacca è soffocata nella stalla,
macigni le macerie,
il badile troppo pesante,
inutile ed insicuro il fienile
già sporco di sangue.
Non ti sorregge la forza animale
e il respiro, come istinto vegetale,
è atrofizzato,
strozzato da mani umane,
invisibili.
Ti senti trascinare sotto terra.
Nessuno sa,
nessuno più t'aspetta.
Hai tentato allora di salire al cielo appendendoti
all'albero della disperazione.
Io aspetto alla stazione,
pilastro tra i treni in arrivo in partenza.
Il tuo non arriverà,
donna jugoslava ti volevo come sposa.
Col pugno trafitto dalle spine,
il fiore violato in putrefazione,
mi resta il ricordo lacerante della rosa
e l'attesa alla stazione.

aprile 96
waiting for you



I wait for you at the station
when I wake up
before I fall asleep
peering through the glass panes
this side of the door:
it will never open.
I've seen you in the paper
hanging from the tree of despair,
violated Yugoslav woman,
torn open guinea-pig woman
without breasts or anything to give
anymore.
The door is smashed in,
the house burned down,
embraces are shattered glass,
insomnia a raid of nightmares.
Eyesockets suck the skull.
Weariness wears the day out.
You wanted to hug a man:
you put your hand into a snake nest.
You wanted to rescue your daughter
and they crushed the egg
in your very hand, sneering,
gone off, they said.
The cow has choked in the stall,
boulders the rubble,
the shovel too heavy
unsafe and useless the hayshed
smeared with blood already.
Animal force is failing you,
and breath, the vegetal instinct,
is crippled,
strangled by human hands
invisible.
You are being dragged underground.
Nobody knows
nobody cares.
You've then tried to climb the sky
by hanging from the tree of despair.
I wait there
at the station,
pillar among trains in and out,
yours will never arrive.
Yugoslav woman I wanted you as a bride.
With the fist stung by thorns
and the raped flower rotting,
I am left with the laceration of the rose
the waiting at the station
and the bowels knotting.

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