pagina in allestimento
E' appena uscito 'Tabù e Lepre su Neve' di Alberto
Sighele Campanotto Editore
e il cd 'Tabù' di Renzo Vigagni e Alberto
Sighele, con Titta Nesti e Lisa Zanon
il volume si può trovare nelle librerie del Trentino
presso l'autore
presso l'Editore
il CD presso i negozi del Mandacarù del Trentino e presso gli autori o la LoL Productions di Marco Olivotto e Chiara Grillo
dalla prefazione (al volume) di Carlo Marcello Conti:
Nel suo tabù appena pronto per la stampa insieme a
lepre su neve l’autore principia con una cosa nettamente chiara e utile per la umana razza. Un’esaltazione a fare il te non la guerra in Iraq per Blair già che nessuna iniziativa di questo tipo per il petrolio vale la vita amore mio. Nessuna, proprio nessuna. Lacerate le bugie del potere. Non è già ormai oltre ogni misura il loro far finta di niente. Come per Hiroschima non ci sarà dopo alcuna cosa capace di essere ancora dopo. Questi bidoni volanti devastano la notte, si riducono a schiavi. Stringimi e urliamo che solo la pietà è il primo gradino per costruire un destino comune. Che osservare ancora il soldato nero americano oggi fatto prigioniero non è novità, era già stato catturato sulle coste dell’Africa. Ridotto schiavo, ignorante, obbediente e bravo. Adesso fanno fuori anche l’acquedotto così se non ci sarà altro, anche la sete produrrà un suo risultato. Così sta per finire il nostro Eden dove per me tu eri tutto ed un serpente ci univa quando in due adoravamo la vita, nostro unico frutto. Tra gli alberi del fiume Tigri ed Eufrate il cuore che assieme avremmo disegnato è ormai tutto un incendio. Lacrime grandi come nuvole riempiono il cielo. Quanti saranno ormai i morti. Talvolta le democrazie sono pericolose quanto le tirannie se adoperano il bastone per dire chi è il padrone. A chi andrà il profitto di questa filosofia. Guardami bene negli occhi ti sembrano così sicure tutte le tue torri. Oppure è già sicuro questa lepre sulla neve che ad attenderla in posa per una fotografia ricordo c’è soltanto morte. Ora capite. Ora che ho aperto la porta. Scatto la mia parola, metafora del mondo nella lingua che è di tutti come la poesia che vi è nascosta dentro. E poi mi dirai dove sei inafferrabile, ma pronto a condensarmi in nuvola. Resterà soltanto il volo, lo splash del tuo zoccolo. A me va benone essere soltanto sapone. C’è eccitazione nella stanza, la poesia è un capezzolo, un interruttore che spegne tutto in questo buio delinquente. E’ spudorata talvolta una lingua o sa essere soltanto uguale a se stessa. Al suo slancio. Di tutta l’altezza e la larghezza innaturale, completa superficie. Il tetto sporge sul vuoto fuori dal vocabolario spericolato, vero, sicuro per la gioia di tutti i passanti e di ogni lettore. Si allunga nel cielo, è come se ciò non bastasse cerca un sole a caratteri di luce. Non ci sono parole per dire di quel balzo di Alberto Sighele su neve. Chiarissima traccia chiarissima poesia adesso tipografia fuori dalla sua segretissima tana oltre i fianchi della letteratura.Carlo Marcello Conti
indice:
di
Alberto
Sighele
(make
love)
Campanotto
Editore
..
(In
una busta a tasca nel retro di questa copertina ci sarà un cd di musiche di
Renzo Vigagni con poesie di questo volume e di quello opposto: tabù, recitate
da Lisa Zanon)
(ci
sarà poi su carta lucida in modo da riprodurre i colori benissimo il collage
di Angelo Bertucci e Monica Pendlebury ‘Erice segreta’ con le seguenti
righe:)
Erice
segreta,
collage di Monica Pendlebury e Angelo Bertucci, Rovereto. Commentato in versi
nella pagina di fronte.
Erice segreta
ora capite
la mia passione segreta
per Astarte nascosta,
venuta dall’est
in questo mare africano,
chiamata Afrodite,
da questi isolani venerata
Venere qui Ericina,
la femmina in fiore,
non più una bambina,
tenuta velata
agli occhi indiscreti
nel patio,
giardino orientale,
nell’impluvio
oltre il portale socchiuso,
come luce
sospesa in un vaso.
Adesso che ho aperto la porta
vi ho detto il segreto,
non lasciate cadere quel vaso,
non spezzate quel fiore,
venerate con me
questo mio grande amore
nascosto,
versato nel collo dell’anfora ,
nell’orecchio del fiore...
negli occhi di chi sa cos’è amore
febbraio
97
prefazione
dell’autore
Tutto
è metafora e il corpo è la prima parola.
La mia teoria è restare coi piedi per terra: fisicità come naturalezza. Ritorno al corpo come al corpo delle parole. Hanno peso, leggerezza, colore e consistenza. Sono indagabili con percezioni tattili. L’anima è nel respiro, come rivela la sua radice. E il germe primo della radice è l’onomatopea, da indagare con i sensi.
L’unica astrazione sia l’intuizione, il guizzo dal quotidiano, dal concreto all’emozione, dall’emozione alle profondità che restano. Togliere le barriere all’esistenza, balzando come lepri dal qui all’altrove, al qui di nuovo, senza avere paura del tutto, né dell’immensità di spazio e tempo, per essere pronti all’ultima capriola: è quel che ci compete.
Ma per capirci devi ritornare al corpo da cui parte il linguaggio universale.
E la poesia è cercare di dircelo. E tanti più intuiscono, tanto più è poesia.
Così ci siamo incontrati, che è la felicità, la risposta al più sublime dei sensi: il desiderio.
Il corpo è la piazza dove ci incontriamo e scambiamo parole. Le parole sono le nostre membra. Togliercele, abusarne è crimine e lacerazione. Ci impedirebbe lo sguardo, la stretta di mano, l’abbraccio, l’amore, la procreazione. Solo nelle parole abbiamo immenso piacere. E l’anima non è separata dal corpo. Con le parole entriamo nell’anima, la vita più grande di quella individuale, quella per cui potrei anche capire come passare oltre, con la serenità dell’essere felici. E la felicità è già essere oltre.
E i balzi li fai con l’intuizione, con l’associazione di idee; e l’associazione te la hanno data gli altri. Ce l’hai, perché l’hai ascoltata e ritenuta preziosa; e così, naturalmente, la tua mente se l’è tenuta, e ti viene ridata quando serve. Così uno si aggancia alle parole di un altro, passa da un pensiero, da un’immagine all’altra.
Assieme ricostruiamo dall’anima collettiva la rete su cui danziamo, tutti per mano. Perché la lingua non è mia ma di tutti; e la poesia vi è già dentro nascosta, è di tutti.
La metafora è il passo di danza; i nodi nella rete sono dove le metafore tengono. Anch’esse sono già nella lingua che condividiamo. E non occorre che te lo ripeta, è ovvio: sono nate dal corpo.
Alberto
Sighele
lepre
su neve
poi
mi dirai
con
i tendini delle dita sull’appiglio
oltre
la cengia con una spaccata
contraendomi
e allungando le braccia
lungo
la crepa nella roccia
fino
a nuove prese alle caviglie delle piante
ero
salito dall’ombra del bosco al sole
sullo
spallone di roccia trepidante
ti
dirò per quale visione
tra
cespugli di peloso pero corvino
bianco
in contrasto col giallo
di altri in anticipo di maggio
le
roccie calcaree un colabrodo
porose
come le ossa del destino
questo
è quello che per noi
facevano
i ghiacciai, pensai
quanto è bello il lago, il Baldo
monte potente al primo verde
l’azzurino lontano di Ledro
l’altro spallone del Brione in mezzo alla
valle
sopra le casette e i campi, l’uno e
l’altro castello
quanto
è bello mi dicevo
e
ti volevo accanto a me
per
un abbraccio pensando al ghiaccio
per
un morbidissimo bacio contro le ruvide roccie
quante
goccie per te per me per sempre
per
perforare la tua assenza per farci crescere cespugli
dove
tu mi prendi mi spogli mi tieni e con me vieni
nella
gioia che io sento a perforare con te il tempo
a
modellare un modo
ti porterò lassù e poi mi dirai
aprile
2003
fossile
rannicchiato nel sonno
il corpo è un fossile
tra lenzuola di roccia
sfogliate dalla curiosità
del mattino
cuculo
è il ciclo delle cose
il richiamo del cuculo
sono io il primo
a primavera
la seconda sei tu
nel cucu
punto di domanda
mi srotolo come un punto
di domanda davanti a te
non meno sofferente
dell’attesa della goccia
sempre elegante
esile e slanciato
quante volte ho tentato
d’essere davanti a te
piombo del muratore
appeso al filo
la mia gravitazione
a scandagliarti il cuore
fumo di sigaretta sono
sull’orlo al portacenere
filo e poi voluta
che tocchi col tuo soffio
sospiro di domanda
sale dal canale
della schiena nel midollo
si attorciglia nella testa
solo il tuo sì è una festa
ed il mio punto resta
svolazzo in alto
in barca su una foglia
il fiotto del non detto
tutto nel picciolo
poi resterà solo il volo
e la domanda a spegnersi
orma
l’impronta nel mio cuscino al mattino che resta
della cavalla che mi ha galoppato di notte
nella testa
non è l’unica orma che di te mi rimane
c’è anche il vuoto lasciato nel petto
ma soprattutto
lo splash del tuo zoccolo nel sangue
come
lei era
abbandonata nella sua nudità
lei era
e così era il gatto come scialle
casualmente caduto dalle spalle
di regina bellezza
come sonno improvviso di bambino
quel raggio di sole posato
sul pavimento
come foglia
odore
d’uomo
ti pare sia buono
questo odore d’uomo
che ti sale le narici
ti cammina per la fronte
ti si siede tra le radici
delle voglie
in fondo al cranio ?
o è un alito cattivo
un odore da disgusto
che fa pensare al cesto
dei panni da pulire
e a quanto detersivo
usare
invece che a un uomo
da amare ?
sapone
sono solo sapone non sono bello
ti faccio chiudere gli occhi
tener strette le labbra
ma non ti torco un capello
eppure sono io che strofini sul corpo
attorno ai tuoi seni
vai ritorni e rivieni
a me va benone essere solo sapone
in mezzo alle scapole fin sotto le ascelle
sono io che conosco
il tuo profumo di pelle
dalle parti più intime su su fino al cuore
tenerti pulita è funzione inferiore
ma benché non mi baci
la mia schiuma la ami
con me ti ricopri di infiniti ricami
tu sai quanto mi piaci
e che a me va benone
essere solo sapone
basta solo mi annusi
per
questo tuo corpo, amore
per questo tuo corpo, amore
e il pane
per questo tuo corpo, amore
da dove sono sgusciati i figli
come pisello
io e te bacello
sfondo il cielo con la testa
con ginocchia e gomiti
scavo oltre la tomba
con questo nostro corpo, amore
due
pini vicini
le chiome di due pini vicini
innamorati
si frusciano fin sotto i capelli
si titillano l’un l’altro le pigne
e allora i tronchi si squamano
nel
buio
brancolando nel buio della stanza
dopo un molle minuto dilatato
penso forse ho il pulsante in cima al dito
c’è eccitazione nella stanza
c’è un bagliore
è rossore dal tuo viso
il capezzolo mi hai dato a interruttore
e spengo tutto
in questo buio delinquente
è un delirio
ma la colpa è anche tua
non dire niente
il clarinetto
con
dolce presa sui fianchi felici
soffio
tutto il mio spirito
nel
clarinetto
ci
infiliamo l’uno nell’altro
ci
metto
tutti
i polmoni
e
i polpastrelli palpitano frenetici sui tasti
felici
fischiamo tubiamo entusiasti
il bocchino arriccia l’aria
pialla
in trucioli di note le venature lunghe del legno
di
questo jazz sincopato
liquido
a spirale
o
annodato
le
nostre viscere appoggiate al fumo
sopra
le teste e le note
i
viaggi nel mondo
allineato sul naso
volevo l’equilibrio
e l’immobilità
ma con lo svolazzo d’ala delle sopracciglia
i tuoi occhi mi hanno aperto
l’est e l’ovest
le tue labbra
il nord e il sud
come lembi di sabbia
su cui si arenano tutti gli attacchi
le narici mi hanno risucchiato
nel turbine del tuo profumo tropicale
e quando ho pensato
sul piano della tua fronte
di fortificare la mia base
con l’oceano dei capelli
hai liquidato tutto
e le orecchie nascoste tra i flutti
sono radar corno e conchiglia
ma quando infine
con l’imbuto della mente
sono sceso tra le colonne d’Ercole
dal collo al corpo
ho scoperto quale meraviglia
fosse
sono così iniziati per me
attraverso te
oscillazioni evoluzioni rotazioni
ed i viaggi nel mondo
Le mie lenzuola
il cuscino dei miei sogni
è tra i tuoi seni
le mie lenzuola
essere con te sola
il mio giorno
e la giornata
guardarmi attorno
e chiedermi dove sei andata
alzi
le ginocchia
alzi le ginocchia fino agli occhi
come un’alta scogliera
fino alle spalle o almeno fino ai seni
per proteggerti nasconderti
studiarmi da distanza
o per aprirle e farmi navigare
con un colpo di reni
sfondare questa stanza
rapirmi in mezzo al mare
per avvolgermi circondarmi
abbracciarmi nell’oceano
le gambe come spruzzi
appoggia la pancia sul mare
appoggia la pancia sul mare
ormai calmo la barca
e se la fa massaggiare
e così digerisce gli schiaffi
subiti dall’onde
sul muso quest’oggi
l’albero
sull’albero della vita
le gambe sono aperte come braccia
le mani hanno mille dita
per eccitare l’aria
l’albero è coraggioso contro i venti
è spudorato
non potrebbe essere altrimenti
generoso o libertino come dici
fa l’amore col cielo
e con la terra nelle radici
il tronco può defluire nel cielo
i rami galleggiare nell’aria
le foglie inseminare il giorno
palpare la notte nuda
l’albero è se stesso
si massaggia di luce all’alba
sveste la vita e fa sesso
è in contatto col tutto
tra le crepe del cuore nel cavo
tra le pieghe e le piaghe nasconde
lo scoiattolo il picchio ed il nido
all’uomo dà il legno
per la barca il tavolo e il tetto
non censurate l’albero vivo
o per quel che vi ho detto
sulla sua vita sessuale
un albero sa essere uguale
a se stesso
porta snodabile
fianco a fianco stiamo
come i battenti di una porta
snodabile
a fisarmonica
ci tocchiamo sui cardini
cigoliamo
di desiderio
poi qualcuno apre tutto
e con una evoluzione di lato
da fianco a fianco
ora invece combaciamo
in un amore esagerato
di tutta l’altezza
e la larghezza
in naturale dolce completa
superficie
il
tetto si sporge
il tetto si sporge sul vuoto
spericolato
ma ne gode il passante
anch’io, non mendicante
chiedo gratis l’amore
viticcio
mi allungo
filo lunghissimo
per i riccioli dei tuoi viticci
vado e ritorno in attesa del vortice
del tuo contatto
primo atto d’amore
in un risucchio di vigna
tutto il filo è percorso da un brivido
oggi in primavera
primo timido
contatto con te
mi allungo
lunghissimo filo
per i
riccioli dei tuoi viticci
incominciamo
col mescolare i capelli
incominciamo
col mescolare i capelli
perché
ci guardavamo negli occhi
e
le labbra si sono posate alle labbra
poi
le mani risaliranno la schiena
immergendo
le braccia fino ai gomiti
infilati
fin sotto le ascelle
e
mentre io coglierò senza toglierle
le
tue mele, accenderò le tue lampade
dei
sensi, tu frugherai con le dita
lungo
i solchi delle nude mie costole
si
chiuderanno i bacini all’addome
gli
ombelichi si punteranno a compasso
lo
strofinìo scalderà nuova nascita
alla
ricerca del nuovo cordone
che
mai più troncheremo, già sotto
il
bucaneve tulipano pannocchia
nel
cielo cerca un sole di luce
per
noi tenebra della tenera notte
e
vi dondoli mentre tutto cavalca
anche
la terra oscilla sull’asse
e
come se ciò non bastasse
le
ginocchia ci cedono assieme
le
cosce l’una l’altra di fronte
scivolando
di lato sul prato
sempre
stretti avvinti lì in fondo
tutto
il resto abbracciato alla pelle
c’è
il perché oscilla il mondo
il mistero delle cose più belle
ai
tuoi piedi
sono come
l’ombra tua
sempre ai tuoi piedi
o ti salgo fino al capo
come mantello
appeso al tuo midollo
anche quando
ti sdraierai
non sarai sola
ti sarò tappeto
tra te
e la dura terra
testimone
ne sarà il sole
o ogni altra lampada
foglia
secca
sei foglia secca
rannicchiata nel letto
abbandonata alla notte
e al destino
ma se ti vengo vicino
e ti tocco
ti stiri ti allunghi e ti apri
foglia piena di linfa
così la giovinezza ritorna
lungo la consueta radice
il picciolo verde ti tiene
viva inquieta e felice
il
gatto
il gatto con cui ti svegli sul viso
è il mio cuore
voglia Dio non ti venga allergìa
e se devi poi cacciartelo via
sii gentile
tienilo almeno tra i piedi
Venere
Eva
dal braccio bilanciato sul capo
e il gomito a corona
il tuo corpo di Venere discende
come velo d’acqua veloce
e trasparente
sui massi levigati del torrente
mia regina e padrona
dei sensi
il tuo corpo felino difende
la mia pelle nuova
novella Eva
il serpente
è più mela che dente
sempre che tu tenga sospeso
il velo
la leva del cuore
i massi delle ossa
e la pelle non sia ribelle
e le ferite non riaffiorino
e io beva
della tua acqua perenne
Venere Eva...
cipolla
rossa
sono la cipolla rossa
da fare a spicchi
bella grossa
densa di lacrime
e tu sei sempre
sotto la pelle
foglia interiore
della cipolla del cuore
per quanto mi strappi
mi togli o mi tagli
ho sempre
un diluvio dagli occhi
il
lago di Anterselva
il lago di Anterselva era gelato e innevato
solido e disteso
a livello come una meditazione
da sotto il ghiaccio a valle e un ponticello
silenzioso e limpido tra zolle di neve usciva
un ampio ruscello d’acqua chiara
questo è bello come lei pensavo
e io vorrei essere quei lunghi rami sott’acqua
pur d’essere con te venature alla corrente
perché cos’è la felicità se non quest’acqua chiara
e desiderarti e sapere che qualsiasi cosa faccio
agli altri, è fatta per te
e sotto quel pavimento di ghiaccio per tutti
a temperatura costante e regolare
corre per te il mio amore
e sei bellissima nell’acqua chiara
che tiene i miei rami sotto
come nell’urna del tempo
lepre
su neve
non ci sono parole per dire
di quel balzo
per cui mi trovo a camminare
scalzo
sul tuo cuore
e per non pesarci
per non ritardarne i palpiti
non impedirti la vita
intralciarti la corsa
vorrei essere lepre su neve
per corrervi lieve
ma, goffa, ha lasciato
chiarissime tracce
e non sa come tornare
né più dove andare
né se
può restare
il
silenzio dei sempreverdi
ascolto un certo fruscìo di foglie
nel fitto del bosco
ma questo
è il silenzio dei sempreverdi
a scendere
è l’immortale neve
dammi una tana
viola,
aperto rosa, poi subito celeste
su uno stelo verde viola amarognolo ruggine
s’avvita la spinta delle lunghe foglie
con supplica su palmi di lanuggine
sbanda lo stelo ad ogni sbalzo di spirale
da ogni scollatura schizza una fuga
di grappoli di lacrime che sale
viola, aperto rosa, poi subito celeste
il fiorellino a schiera timido insiste
su petali minuscoli una preghiera
in mezzo al cuore giallo un buco nero
gelosia o vecchiaia solo uno spillo
ma resta un pensiero:
non-ti-scordar-di-me
Safiya
donna da condanna
per cui bagliore d’amore
è baratro di morte
donna dal duro destino
dal buio e dal fragore
quali bocche quali porte
Safiya voluta avuta ripudiata
di cui esaurite le scorte
di latte per la prole
l’uomo infimo vuole
sull’ultimo scalino
una discarica di sassi
Safiya di sofferenza
fino al sangue conficcata
nel terreno per le gambe
solo il seno resti fuori
da nuvole tetti e capanne
una gragnola di condanne
a lei l’allattamento
è pompa sul midollo
collana di morte al collo
fino allo svenimento
collare di schiavismo
che sale sale all’Africa
Africa alle tue figlie
chi lenirà il dolore
dei ferri alle caviglie
chi camminerà al lavoro
nei campi se gambe e uteri
sono sepolti come tuberi?
la stalla
Ave Maria a trasbordo
perché nel pericolo dell’acqua
siamo avvolti dal calore corporeo
delle pecore nella barca, dal cuore
d’una donna
sul bordo con bambino.
I remi lunghi sull’acqua, dell’uomo dal
cappello fradicio, mestano nel destino;
mentre l’ultimo raggio di sole percorre
sotto il nuvolone quest’altre gobbe di
lana, il testone della pecora qui
davanti in ombra si allunga
verso l’onda - oltre il
cerchio dell’Ave
se le mucche alla stanga
non sono mai stanche
di ruminare il crepuscolo
e di evaporare luce dalla pelle
forse noi impariamo
a prendere il tempo per mano
a srotolare le colline nel respiro
a non temere come ultima la notte
l’ultima
fatica del giorno
l’ultima fatica del giorno è la legna e la fascina
dalla schiena fin dai piedi sulla testa
come manto trascinato lungo tutta la collina
arbusti rami anche tronchi sradicati
senza un filo di protesta rovesciati
le radici tra i capelli arruffati
lui il re del lavoro massacrante
lei regina
e ognuno tutto solo
sotto il peso e le ginocchia verso casa
la corona di sudore sulla nuca
il viso scuro al paese ancor lontano
una cometa di fatiche al buco nero
il pastore addormentato
due macigni di lana in primo piano
due animali femminili a contenere
con i riccioli sporchi di sterpaglia
la spinta della luce dentro il sonno
del pastore con la schiena contro il tronco
con il sogno ripiegato sulla spalla
e tra gli alberi il dorso di chi raglia
a mezzogiorno per il ritorno
ritorno
all’ovile
se il pittore abbia visto pecore
tornare all’ovile nella Brianza
o attorno ad Arco nella sua infanzia,
io le ricordo nella mia
lungo un vicolo a Vignole
foglie graffiate via
dal vento dove vuole
fiocchi di precarietà
e nella curva che il gregge fa
prima di infilarsi dentro:
il collo della mamma
su cui m’addormento
col sonno del gregge
che mi protegge
e sotto la matita
resta una strada triturata scalfita
da una grandine di zoccoli
all’arcolaio
tra lo sguardo mite della mucca sul fondo
e la fanciulla seduta all’arcolaio di spalla
fila la luce della lanterna nella stalla
sulla ruota della vita
un intensità di amore
tra
la femmina in fiore e la femmina feconda
che sembra non ci sia null’altro al mondo
oltre al calore tra l’una e l’altra sponda
in questa stalla
sciarpa sugli
occhi
ricordo
mamma
mentre salgo la rampa
davanti alla casa nostra
il ricordo improvviso mi mostra
te affaticata e quanto mi manca
la tua voce che chiama il mio nome
che chiede un favore se posso
e porto la tua voce addosso
e tiro la sciarpa sugli occhi
gonfi del tuo ricordo
e le lacrime sono lenti in cui vedo
i movimenti del mondo più veri
pomodori
d’agosto
passano gli anni
e tu passi
sempre più curva
alla finestra mia
e mi chiedi dei figli
raccogli verdura
per la minestra del babbo
e mi chiedi
se ti posso vangare quel pezzo
o irrorare
i pomodori
ora rimasti da soli
gonfi di sole d’agosto
e i fratelli mi chiedono chi farà la conserva
e non piangono mai in mia presenza
pavimento
tuo suo soffitto
e mia figlia mi chiede del rumore
amico della tua macchina da cucire
lei non lo sapeva essere ticchettìo d’orologio
della tua vita che andava a finire
nelle lacrime sei scesa nella stanza di sotto
il soffitto suo è poroso
il pavimento tuo è rotto
e il suo cuore una spugna
indice
lepre su neve
per
chi è tutto il fuoco
3
fossile
4
come
lei era
5
odore
d’uomo
6
per
questo tuo corpo, amore
7
due
pini vicini
8
nel
buio
9
clarinetto
10
intonaco
bianco
11
alti
ed austeri
12
nel
mare nostro
13
i
viaggi nel mondo
14
alzi
le ginocchia
16
la
crucciano
17
appoggia
la pancia sul mare
18
atollo
corallino
19
l’albero
20
porta
snodabile
21
viticcio
22
Venere
Eva
23
pendi
a grappolo
24
foglia
secca
25
la
neve
26
lepre
su neve
27
viola,
aperto rosa, poi subito celeste28
Safiya
29
la stalla
Ave
Maria a trasbordo
31
le
mucche alla stanga
32
l’ultima
fatica del giorno
33
il
pastore addormentato
34
ritorno
all’ovile
35
all’arcolaio
36
sciarpa sugli
occhi
ricordo
37
pomodori
d’agosto
38
pavimento
tuo suo soffitto
39
Nota
biografica:
Alberto
Sighele è nato il 1/6/1947 a Rovereto dove insegna inglese al Liceo Antonio
Rosmini. Ha incominciato a scrivere poesie in inglese per gioco per i suoi
studenti, contro le guerre e l’ingiustizia, e poi per le persone che gli
sono care e con ogni pretesto. E’ impegnato nel movimento politico di
Solidarietà del Trentino.
Ha
iniziato a pubblicare nel 97 Come uno
Scialle, Vorrei Potertene Parlare
nel 98, Ascolta l’Urlo delle Figlie
e Lungo il Greto del Leno con
Campanotto Editore nel 2000. Nel 2002 con lo stesso editore Oltre i Tuoi
Fianchi e Essendo Tondo dedicato al movimento Un Altro Mondo è
Possibile.
Ha
avuto 4 sue poesie lette nel programma radiofonico Zapping condotto da Aldo
Forbice. Ha vinto un primo premio e un terzo posto al Concorso Rosa Carenini
di Fontanellato di Parma, un secondo e terzo posto al Concorso Dialogo di
Olgiate Comasco, un premio speciale della Giuria al Concorso Città della
Spezia con la silloge inedita Dai
Capanni di Campagna e molte segnalazioni in varie altre competizioni
poetiche.
Alberto
insiste nel dire, a chi gli crede, che la sua vena sia “romantica ed
erotica, onirica ed ironica, politica e selvatica, ecologica e colloquiale,
mistica e materiale… da masticare; pacifica e geografica, sensuale,
‘intellettuale’ poco, vegetale, di vissuto quotidiano… (speriamo non gli
sfugga di mano!)”.
Vi
invita nel suo sito: www.apoemaday.it
dove troverete una poesia al giorno e molte sorprese.
Indirizzo:
Via Giovannini 13
38068
Rovereto TN
tel
e fax 0464 411874
email:albertosighele@apoemaday.it