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E' appena uscito 'Tabù e Lepre su Neve' di Alberto Sighele        Campanotto Editore


e il cd 'Tabù' di Renzo Vigagni e  Alberto Sighele, con Titta Nesti e Lisa Zanon

 

il volume si può trovare nelle librerie del Trentino
presso l'autore
presso l'Editore

il CD presso i negozi del Mandacarù del Trentino e presso gli autori o la LoL Productions di Marco Olivotto e Chiara Grillo

 

dalla prefazione (al volume) di Carlo Marcello Conti:

Nel suo tabù appena pronto per la stampa insieme a lepre su neve l’autore principia con una cosa nettamente chiara e utile per la umana razza. Un’esaltazione a fare il te non la guerra in Iraq per Blair già che nessuna iniziativa di questo tipo per il petrolio vale la vita amore mio. Nessuna, proprio nessuna. Lacerate le bugie del potere. Non è già ormai oltre ogni misura il loro far finta di niente. Come per Hiroschima non ci sarà dopo alcuna cosa capace di essere ancora dopo. Questi bidoni volanti devastano la notte, si riducono a schiavi. Stringimi e urliamo che solo la pietà è il primo gradino per costruire un destino comune. Che osservare ancora il soldato nero americano oggi fatto prigioniero non è novità, era già stato catturato sulle coste dell’Africa. Ridotto schiavo, ignorante, obbediente e bravo. Adesso fanno fuori anche l’acquedotto così se non ci sarà altro, anche la sete produrrà un suo risultato. Così sta per finire il nostro Eden dove per me tu eri tutto ed un serpente ci univa quando in due adoravamo la vita, nostro unico frutto. Tra gli alberi del fiume Tigri ed Eufrate il cuore che assieme avremmo disegnato è ormai tutto un incendio. Lacrime grandi come nuvole riempiono il cielo. Quanti saranno ormai i morti. Talvolta le democrazie sono pericolose quanto le tirannie se adoperano il bastone per dire chi è il padrone. A chi andrà il profitto di questa filosofia. Guardami bene negli occhi ti sembrano così sicure tutte le tue torri. Oppure è già sicuro questa lepre sulla neve che ad attenderla in posa per una fotografia ricordo c’è soltanto morte. Ora capite. Ora che ho aperto la porta. Scatto la mia parola, metafora del mondo nella lingua che è di tutti come la poesia che vi è nascosta dentro. E poi mi dirai dove sei inafferrabile, ma pronto a condensarmi in nuvola. Resterà soltanto il volo, lo splash del tuo zoccolo. A me va benone essere soltanto sapone. C’è eccitazione nella stanza, la poesia è un capezzolo, un interruttore che spegne tutto in questo buio delinquente. E’ spudorata talvolta una lingua o sa essere soltanto uguale a se stessa. Al suo slancio. Di tutta l’altezza e la larghezza innaturale, completa superficie. Il tetto sporge sul vuoto fuori dal vocabolario spericolato, vero, sicuro per la gioia di tutti i passanti e di ogni lettore. Si allunga nel cielo, è come se ciò non bastasse cerca un sole a caratteri di luce. Non ci sono parole per dire di quel balzo di Alberto Sighele su neve. Chiarissima traccia chiarissima poesia adesso tipografia fuori dalla sua segretissima tana oltre i fianchi della letteratura.

Carlo Marcello Conti

indice:

4

 
lepre su neve

 

 

                  di

 

Alberto Sighele

 

(make love)

 

 

 

 

 

Campanotto Editore

..


(In una busta a tasca nel retro di questa copertina ci sarà un cd di musiche di Renzo Vigagni con poesie di questo volume e di quello opposto: tabù, recitate da Lisa Zanon)

 

(ci sarà poi su carta lucida in modo da riprodurre i colori benissimo il collage di Angelo Bertucci e Monica Pendlebury ‘Erice segreta’ con le seguenti righe:)

 

 

 

 

 

 

Erice segreta, collage di Monica Pendlebury e Angelo Bertucci, Rovereto. Commentato in versi nella pagina di fronte.


Erice segreta

ora capite

la mia passione segreta

per Astarte nascosta,

venuta dall’est

in questo mare africano,

chiamata Afrodite,

da questi isolani venerata

Venere qui Ericina,

la femmina in fiore,

non più una bambina,

tenuta velata

agli occhi indiscreti

nel patio,

giardino orientale,

nell’impluvio

oltre il portale socchiuso,

come luce

sospesa in un vaso.

Adesso che ho aperto la porta

vi ho detto il segreto,

non lasciate cadere quel vaso,

non spezzate quel fiore,

venerate con me

questo mio grande amore

nascosto,

versato nel collo dell’anfora ,

nell’orecchio del fiore...

 

negli occhi di chi sa cos’è amore

febbraio 97

prefazione dell’autore

Tutto è metafora e il corpo è la prima parola.

 

La mia teoria è restare coi piedi per terra: fisicità come naturalezza. Ritorno al corpo come al corpo delle parole. Hanno peso, leggerezza, colore e consistenza. Sono indagabili con percezioni tattili. L’anima è nel respiro, come rivela la sua radice. E il germe primo della radice è l’onomatopea, da indagare con i sensi.

L’unica astrazione sia l’intuizione, il guizzo dal quotidiano, dal concreto all’emozione, dall’emozione alle profondità che restano. Togliere le barriere all’esistenza, balzando come lepri dal qui all’altrove, al qui di nuovo, senza avere paura del tutto, né dell’immensità di spazio e tempo, per essere pronti all’ultima capriola: è quel che ci compete.

Ma per capirci devi ritornare al corpo da cui parte il linguaggio universale.

E la poesia è cercare di dircelo. E tanti più intuiscono, tanto più è poesia.

Così ci siamo incontrati, che è la felicità, la risposta al più sublime dei sensi: il desiderio.

Il corpo è la piazza dove ci incontriamo e scambiamo parole. Le parole sono le nostre membra. Togliercele, abusarne è crimine e lacerazione. Ci impedirebbe lo sguardo, la stretta di mano, l’abbraccio, l’amore, la procreazione. Solo nelle parole abbiamo immenso piacere. E l’anima non è separata dal corpo. Con le parole entriamo nell’anima, la vita più grande di quella individuale, quella per cui potrei anche capire come passare oltre, con la serenità dell’essere felici. E la felicità è già essere oltre.

E i balzi li fai con l’intuizione, con l’associazione di idee; e l’associazione te la hanno data gli altri. Ce l’hai, perché l’hai ascoltata e ritenuta preziosa; e così, naturalmente, la tua mente se l’è tenuta, e ti viene ridata quando serve. Così uno si aggancia alle parole di un altro, passa da un pensiero, da un’immagine all’altra.

Assieme ricostruiamo dall’anima collettiva la rete su cui danziamo, tutti per mano. Perché la lingua non è mia ma di tutti; e la poesia vi è già dentro nascosta, è di tutti.

La metafora è il passo di danza; i nodi nella rete sono dove le metafore tengono. Anch’esse sono già nella lingua che condividiamo. E non occorre che te lo ripeta, è ovvio: sono nate dal corpo.

 

Alberto Sighele


 

lepre su neve

 

 


 

poi mi dirai

 

con i tendini delle dita sull’appiglio

oltre la cengia con una spaccata

contraendomi e allungando le braccia

lungo la crepa nella roccia

fino a nuove prese alle caviglie delle piante

ero salito dall’ombra del bosco al sole

sullo spallone di roccia trepidante

ti dirò per quale visione

tra cespugli di peloso pero corvino

bianco in contrasto col giallo
di altri in anticipo di maggio

le roccie calcaree un colabrodo

porose come le ossa del destino

questo è quello che per noi

facevano i ghiacciai, pensai

quanto è bello il lago, il Baldo

monte potente al primo verde

l’azzurino lontano di Ledro

l’altro spallone del Brione in mezzo alla valle

sopra le casette e i campi, l’uno e l’altro castello

quanto è bello mi dicevo

e ti volevo accanto a me

per un abbraccio pensando al ghiaccio

per un morbidissimo bacio contro le ruvide roccie

quante goccie per te per me per sempre

per perforare la tua assenza per farci crescere cespugli

dove tu mi prendi mi spogli mi tieni e con me vieni

nella gioia che io sento a perforare con te il tempo

a modellare un modo

 

ti porterò lassù e poi mi dirai

 

aprile 2003


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

fossile

 

 

 

rannicchiato nel sonno

il corpo è un fossile

tra lenzuola di roccia

sfogliate dalla curiosità

del mattino

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

cuculo

 

 

 

è il ciclo delle cose

il richiamo del cuculo

 

sono io il primo

a primavera

la seconda sei tu

nel cucu

 

 


punto di domanda

 

 

 

mi srotolo come un punto

di domanda davanti a te

non meno sofferente

dell’attesa della goccia

 

 

sempre elegante

esile e slanciato

quante volte ho tentato

d’essere davanti a te

 

 

piombo del muratore

appeso al filo

la mia gravitazione

a scandagliarti il cuore

 

 

fumo di sigaretta sono

sull’orlo al portacenere

filo e poi voluta

che tocchi col tuo soffio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

sospiro di domanda

sale dal canale

della schiena nel midollo

si attorciglia nella testa

 

 

solo il tuo sì è una festa

ed il mio punto resta

svolazzo in alto

in barca su una foglia

 

 

il fiotto del non detto

tutto nel picciolo

poi resterà solo il volo

e la domanda a spegnersi

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

orma

 

 

 

l’impronta nel mio cuscino al mattino che resta
della cavalla che mi ha galoppato di notte

nella testa
non è l’unica orma che di te mi rimane
c’è anche il vuoto lasciato nel petto
ma soprattutto

lo splash del tuo zoccolo nel sangue

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

come lei era

 

 

 

abbandonata nella sua nudità

lei era

e così era il gatto come scialle

casualmente caduto dalle spalle

di regina bellezza

come sonno improvviso di bambino

quel raggio di sole posato

sul pavimento

come foglia


 

 

 

 

 

 

 

 

 

odore d’uomo

 

 

 

ti pare sia buono

questo odore d’uomo

che ti sale le narici

ti cammina per la fronte

ti si siede tra le radici

delle voglie

in fondo al cranio ?

 

o è un alito cattivo

un odore da disgusto

che fa pensare al cesto

dei panni da pulire

e a quanto detersivo

usare

invece che a un uomo
da amare ?

 


sapone

 

 

sono solo sapone non sono bello

ti faccio chiudere gli occhi

tener strette le labbra

ma non ti torco un capello

 

eppure sono io che strofini sul corpo

attorno ai tuoi seni

vai ritorni e rivieni

a me va benone essere solo sapone

 

in mezzo alle scapole fin sotto le ascelle

sono io che conosco

il tuo profumo di pelle

dalle parti più intime su su fino al cuore

 

tenerti pulita è funzione inferiore

ma benché non mi baci

la mia schiuma la ami

con me ti ricopri di infiniti ricami

 

tu sai quanto mi piaci

e che a me va benone

essere solo sapone

basta solo mi annusi

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

per questo tuo corpo, amore

 

 

 

per questo tuo corpo, amore

e il pane

per questo tuo corpo, amore

da dove sono sgusciati i figli

come pisello

io e te bacello

 

sfondo il cielo con la testa

con ginocchia e gomiti

scavo oltre la tomba

 

con questo nostro corpo, amore

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

due pini vicini

 

 

 

le chiome di due pini vicini

innamorati

si frusciano fin sotto i capelli

si titillano l’un l’altro le pigne

 

e allora i tronchi si squamano

 




 

 

 

 

 

 

 

nel buio

 

 

 

brancolando nel buio della stanza

dopo un molle minuto dilatato

penso forse ho il pulsante in cima al dito

 

c’è eccitazione nella stanza

c’è un bagliore

è rossore dal tuo viso

il capezzolo mi hai dato a interruttore

 

e spengo tutto

in questo buio delinquente

è un delirio

ma la colpa è anche tua

non dire niente

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

il clarinetto

 

 

 

con dolce presa sui fianchi felici

soffio tutto il mio spirito

nel clarinetto

ci infiliamo l’uno nell’altro

ci metto

tutti i polmoni

e i polpastrelli palpitano frenetici sui tasti

felici fischiamo tubiamo entusiasti

il bocchino arriccia l’aria

pialla in trucioli di note le venature lunghe del legno

di questo jazz sincopato

liquido a spirale

o annodato

 

le nostre viscere appoggiate al fumo

sopra le teste e le note

 


i viaggi nel mondo

 

 

allineato sul naso

volevo l’equilibrio

e l’immobilità

 

ma con lo svolazzo d’ala delle sopracciglia

i tuoi occhi mi hanno aperto

l’est e l’ovest

le tue labbra

il nord e il sud

come lembi di sabbia

su cui si arenano tutti gli attacchi

 

le narici mi hanno risucchiato

nel turbine del tuo profumo tropicale

e quando ho pensato

sul piano della tua fronte

di fortificare la mia base

con l’oceano dei capelli

hai liquidato tutto

 

e le orecchie nascoste tra i flutti

sono radar corno e conchiglia

ma quando infine

con l’imbuto della mente

sono sceso tra le colonne d’Ercole

dal collo al corpo

ho scoperto quale meraviglia

fosse

sono così iniziati per me

attraverso te

oscillazioni evoluzioni rotazioni

ed i viaggi nel mondo

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le mie lenzuola

 

 

 

il cuscino dei miei sogni
è tra i tuoi seni

le mie lenzuola
essere con te sola

il mio giorno

e la giornata

guardarmi attorno
e chiedermi dove sei andata

 

 

 

 


 

 

 

 

 

alzi le ginocchia

 

 

 

alzi le ginocchia fino agli occhi

come un’alta scogliera

fino alle spalle o almeno fino ai seni

per proteggerti nasconderti

studiarmi da distanza

 

o per aprirle e farmi navigare

con un colpo di reni

sfondare questa stanza

rapirmi in mezzo al mare

 

per avvolgermi circondarmi

abbracciarmi nell’oceano

le gambe come spruzzi 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

appoggia la pancia sul mare

 

 

 

appoggia la pancia sul mare

ormai calmo la barca

 

e se la fa massaggiare

 

e così digerisce gli schiaffi

subiti dall’onde

sul muso quest’oggi

 

 


l’albero

 

sull’albero della vita

le gambe sono aperte come braccia

le mani hanno mille dita

per eccitare l’aria

l’albero è coraggioso contro i venti

è spudorato

non potrebbe essere altrimenti

generoso o libertino come dici

fa l’amore col cielo

e con la terra nelle radici

il tronco può defluire nel cielo

i rami galleggiare nell’aria

le foglie inseminare il giorno

palpare la notte nuda

l’albero è se stesso

si massaggia di luce all’alba

sveste la vita e fa sesso

è in contatto col tutto

tra le crepe del cuore nel cavo

tra le pieghe e le piaghe nasconde

lo scoiattolo il picchio ed il nido

all’uomo dà il legno

per la barca il tavolo e il tetto

non censurate l’albero vivo

o per quel che vi ho detto

sulla sua vita sessuale

un albero sa essere uguale

a se stesso

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

porta snodabile

 

 

 

fianco a fianco stiamo

come i battenti di una porta

snodabile

a fisarmonica

ci tocchiamo sui cardini

cigoliamo

di desiderio

poi qualcuno apre tutto

e con una evoluzione di lato

da fianco a fianco

ora invece combaciamo

in un amore esagerato

di tutta l’altezza

e la larghezza
in naturale dolce completa

superficie

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

il tetto si sporge

 

 

 

il tetto si sporge sul vuoto

spericolato

ma ne gode il passante

anch’io, non mendicante

chiedo gratis l’amore

 

 


 

 

 

 

 

viticcio

 

 

 

mi allungo

 

filo lunghissimo

per i riccioli dei tuoi viticci

 

vado e ritorno in attesa del vortice

del tuo contatto

primo atto d’amore

in un risucchio di vigna

 

tutto il filo è percorso da un brivido

oggi in primavera

primo timido

contatto con te

 

mi allungo

lunghissimo filo

per i riccioli dei tuoi viticci

 

 


incominciamo col mescolare i capelli

 

incominciamo col mescolare i capelli

perché ci guardavamo negli occhi

e le labbra si sono posate alle labbra

poi le mani risaliranno la schiena

 

immergendo le braccia fino ai gomiti

infilati fin sotto le ascelle

e mentre io coglierò senza toglierle

le tue mele, accenderò le tue lampade

 

dei sensi, tu frugherai con le dita

lungo i solchi delle nude mie costole

si chiuderanno i bacini all’addome

gli ombelichi si punteranno a compasso

 

lo strofinìo scalderà nuova nascita

alla ricerca del nuovo cordone

che mai più troncheremo, già sotto

il bucaneve tulipano pannocchia

 

nel cielo cerca un sole di luce

per noi tenebra della tenera notte

e vi dondoli mentre tutto cavalca

anche la terra oscilla sull’asse

 

e come se ciò non bastasse

le ginocchia ci cedono assieme

le cosce l’una l’altra di fronte

scivolando di lato sul prato

 

sempre stretti avvinti lì in fondo

tutto il resto abbracciato alla pelle

c’è il perché oscilla il mondo

il mistero delle cose più belle


ai tuoi piedi

 

 

 

sono come

l’ombra tua

sempre ai tuoi piedi

 

o ti salgo fino al capo

come mantello

appeso al tuo midollo

 

anche quando

ti sdraierai

non sarai sola

 

ti sarò tappeto

tra te

e la dura terra

 

testimone

ne sarà il sole

o ogni altra lampada

 

 


 

 

 

 

 

 

 

foglia secca

 

 

 

sei foglia secca

rannicchiata nel letto

abbandonata alla notte

e al destino

 

ma se ti vengo vicino

e ti tocco

ti stiri ti allunghi e ti apri

foglia piena di linfa

 

così la giovinezza ritorna

lungo la consueta radice

il picciolo verde ti tiene

viva inquieta e felice

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

il gatto

 

 

 

il gatto con cui ti svegli sul viso

è il mio cuore


voglia Dio non ti venga allergìa
e se devi poi cacciartelo via

sii gentile

tienilo almeno tra i piedi

 


 

 

Venere Eva

 

 

dal braccio bilanciato sul capo

e il gomito a corona

il tuo corpo di Venere discende

come velo d’acqua veloce

e trasparente

sui massi levigati del torrente

mia regina e padrona

dei sensi

 

il tuo corpo felino difende

la mia pelle nuova

novella Eva

il serpente

è più mela che dente

 

sempre che tu tenga sospeso

il velo

la leva del cuore

i massi delle ossa

e la pelle non sia ribelle

e le ferite non riaffiorino

e io beva

della tua acqua perenne

Venere Eva...

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

cipolla rossa

 

 

 

sono la cipolla rossa

da fare a spicchi

bella grossa

densa di lacrime

 

e tu sei sempre

sotto la pelle

foglia interiore

della cipolla del cuore

 

per quanto mi strappi

mi togli o mi tagli

ho sempre

un diluvio dagli occhi

 

 


il lago di Anterselva

 

 

 

il lago di Anterselva era gelato e innevato

solido e disteso

a livello come una meditazione

 

da sotto il ghiaccio a valle e un ponticello

silenzioso e limpido tra zolle di neve usciva

un ampio ruscello d’acqua chiara

 

questo è bello come lei pensavo

e io vorrei essere quei lunghi rami sott’acqua

pur d’essere con te venature alla corrente

 

perché cos’è la felicità se non quest’acqua chiara

e desiderarti e sapere che qualsiasi cosa faccio

agli altri, è fatta per te

 

e sotto quel pavimento di ghiaccio per tutti

a temperatura costante e regolare

corre per te il mio amore

 

e sei bellissima nell’acqua chiara

che tiene i miei rami sotto

come nell’urna del tempo

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

lepre su neve

 

 

 

non ci sono parole per dire

di quel balzo

per cui mi trovo a camminare

scalzo

sul tuo cuore

 

e per non pesarci

per non ritardarne i palpiti

non impedirti la vita

intralciarti la corsa

 

vorrei essere lepre su neve

per corrervi lieve

ma, goffa, ha lasciato

chiarissime tracce

 

e non sa come tornare

né più dove andare

né se

può restare

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

il silenzio dei sempreverdi

 

 

 

ascolto un certo fruscìo di foglie

nel fitto del bosco

 

ma questo

è il silenzio dei sempreverdi

 

a scendere

è l’immortale neve

 

dammi una tana

 


 

 

 

 

viola, aperto rosa, poi subito celeste

 

 

 

su uno stelo verde viola amarognolo ruggine

s’avvita la spinta delle lunghe foglie

con supplica su palmi di lanuggine

 

sbanda lo stelo ad ogni sbalzo di spirale

da ogni scollatura schizza una fuga

di grappoli di lacrime che sale

 

viola, aperto rosa, poi subito celeste

il fiorellino a schiera timido insiste

su petali minuscoli una preghiera

 

in mezzo al cuore giallo un buco nero

gelosia o vecchiaia solo uno spillo

ma resta un pensiero:

 

non-ti-scordar-di-me

 


 

 

 

Safiya

 

 

 

donna da condanna

per cui bagliore d’amore

è baratro di morte

donna dal duro destino

dal buio e dal fragore

quali bocche quali porte

 

Safiya voluta avuta ripudiata

di cui esaurite le scorte

di latte per la prole

l’uomo infimo vuole

sull’ultimo scalino

una discarica di sassi

 

Safiya di sofferenza

fino al sangue conficcata

nel terreno per le gambe

solo il seno resti fuori

da nuvole tetti e capanne

una gragnola di condanne

 


 

a lei l’allattamento

è pompa sul midollo

collana di morte al collo

fino allo svenimento

collare di schiavismo

che sale sale all’Africa

 

Africa alle tue figlie

chi lenirà il dolore

dei ferri alle caviglie

chi camminerà al lavoro

nei campi se gambe e uteri

sono sepolti come tuberi?

 

 

 


 

 

 

 

la stalla

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ave Maria a trasbordo




Ave Maria a trasbordo

perché nel pericolo dell’acqua

siamo avvolti dal calore corporeo

delle pecore nella barca, dal cuore

d’una donna                                        

sul bordo con bambino.                     

I remi lunghi sull’acqua, dell’uomo dal

cappello fradicio, mestano nel destino;

mentre l’ultimo raggio di sole percorre

sotto il nuvolone quest’altre gobbe di

lana, il testone della pecora qui

davanti in ombra si allunga

verso l’onda - oltre il

cerchio dell’Ave


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

le mucche alla stanga

 

 

 

se le mucche alla stanga

non sono mai stanche

di ruminare il crepuscolo

e di evaporare luce dalla pelle

 

forse noi impariamo

a prendere il tempo per mano

a srotolare le colline nel respiro

a non temere come ultima la notte

 


 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

l’ultima fatica del giorno

 

 

 

l’ultima fatica del giorno è la legna e la fascina

dalla schiena fin dai piedi sulla testa

come manto trascinato lungo tutta la collina

arbusti rami anche tronchi sradicati

senza un filo di protesta rovesciati

le radici tra i capelli arruffati

lui il re del lavoro massacrante

lei regina

 

e ognuno tutto solo

sotto il peso e le ginocchia verso casa

la corona di sudore sulla nuca

il viso scuro al paese ancor lontano

una cometa di fatiche al buco nero

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

il pastore addormentato

 

 

 

due macigni di lana in primo piano

due animali femminili a contenere

con i riccioli sporchi di sterpaglia

la spinta della luce dentro il sonno

del pastore con la schiena contro il tronco

con il sogno ripiegato sulla spalla

e tra gli alberi il dorso di chi raglia

a mezzogiorno per il ritorno

 


 

 

 

 

 

 

ritorno all’ovile

 

 

 

se il pittore abbia visto pecore

tornare all’ovile nella Brianza

o attorno ad Arco nella sua infanzia,

io le ricordo nella mia

lungo un vicolo a Vignole

foglie graffiate via

dal vento dove vuole

fiocchi di precarietà

 

e nella curva che il gregge fa

prima di infilarsi dentro:

il collo della mamma

su cui m’addormento

col sonno del gregge

che mi protegge

 

e sotto la matita

resta una strada triturata scalfita

da una grandine di zoccoli

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

all’arcolaio

 

 

 

tra lo sguardo mite della mucca sul fondo

e la fanciulla seduta all’arcolaio di spalla

fila la luce della lanterna nella stalla

sulla ruota della vita

un intensità di amore

tra la femmina in fiore e la femmina feconda

che sembra non ci sia null’altro al mondo

oltre al calore tra l’una e l’altra sponda

in questa stalla


                                  sciarpa sugli  occhi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ricordo

 

 

 

mamma

mentre salgo la rampa

davanti alla casa nostra

il ricordo improvviso mi mostra

te affaticata e quanto mi manca

la tua voce che chiama il mio nome

che chiede un favore se posso

e porto la tua voce addosso

e tiro la sciarpa sugli occhi

gonfi del tuo ricordo

e le lacrime sono lenti in cui vedo

i movimenti del mondo più veri

 


 

 

 

 

 

 

 

pomodori d’agosto

 

 

 

passano gli anni

e tu passi

sempre più curva

alla finestra mia

e mi chiedi dei figli

raccogli verdura

per la minestra del babbo

e mi chiedi

se ti posso vangare quel pezzo

o irrorare

i pomodori

ora rimasti da soli

gonfi di sole d’agosto

e i fratelli mi chiedono chi farà la conserva

 

e non piangono mai in mia presenza

 

























pavimento tuo suo soffitto

 

 

 

e mia figlia mi chiede del rumore

amico della tua macchina da cucire

lei non lo sapeva essere ticchettìo d’orologio

della tua vita che andava a finire

 

nelle lacrime sei scesa nella stanza di sotto

il soffitto suo è poroso

il pavimento tuo è rotto

e il suo cuore una spugna

 


indice

 

lepre su neve

 

per chi è tutto il fuoco                                3

fossile                                                    4

come lei era                                           5

odore d’uomo                                      6

per questo tuo corpo, amore                7

due pini vicini                                      8

nel buio                                                 9

clarinetto                                               10

intonaco bianco                                   11

alti ed austeri                                        12

nel mare nostro                                    13

i viaggi nel mondo                                14

alzi le ginocchia                                   16

la crucciano                                          17

appoggia la pancia sul mare                18

atollo corallino                                     19

l’albero                                                  20

porta snodabile                                    21

viticcio                                                  22

Venere Eva                                           23

pendi a grappolo                                 24

foglia secca                                          25

la neve                                                   26

lepre su neve                                        27

viola, aperto rosa, poi subito celeste28

Safiya                                                    29

la stalla

Ave Maria a trasbordo                                31

le mucche alla stanga                                32

l’ultima fatica del giorno                                33

il pastore addormentato                                34

ritorno all’ovile                                    35

all’arcolaio                                            36


 

 

sciarpa sugli occhi

 

ricordo                                                   37

pomodori d’agosto                                38

pavimento tuo suo soffitto                                39

 

 

 

 

 

Nota biografica:

 

Alberto Sighele è nato il 1/6/1947 a Rovereto dove insegna inglese al Liceo Antonio Rosmini. Ha incominciato a scrivere poesie in inglese per gioco per i suoi studenti, contro le guerre e l’ingiustizia, e poi per le persone che gli sono care e con ogni pretesto. E’ impegnato nel movimento politico di Solidarietà del Trentino.

Ha iniziato a pubblicare nel 97 Come uno Scialle, Vorrei Potertene Parlare nel 98, Ascolta l’Urlo delle Figlie e Lungo il Greto del Leno con Campanotto Editore nel 2000. Nel 2002 con lo stesso editore Oltre i Tuoi Fianchi e Essendo Tondo dedicato al movimento Un Altro Mondo è Possibile.

Ha avuto 4 sue poesie lette nel programma radiofonico Zapping condotto da Aldo Forbice. Ha vinto un primo premio e un terzo posto al Concorso Rosa Carenini di Fontanellato di Parma, un secondo e terzo posto al Concorso Dialogo di Olgiate Comasco, un premio speciale della Giuria al Concorso Città della Spezia con la silloge inedita Dai Capanni di Campagna e molte segnalazioni in varie altre competizioni poetiche.

Alberto insiste nel dire, a chi gli crede, che la sua vena sia “romantica ed erotica, onirica ed ironica, politica e selvatica, ecologica e colloquiale, mistica e materiale… da masticare; pacifica e geografica, sensuale, ‘intellettuale’ poco, vegetale, di vissuto quotidiano… (speriamo non gli sfugga di mano!)”.

Vi invita nel suo sito:  www.apoemaday.it dove troverete una poesia al giorno e molte sorprese.

 

Indirizzo: Via Giovannini 13

38068 Rovereto TN

tel e fax 0464 411874

email:albertosighele@apoemaday.it